Tre minuti e ventotto secondi dopo, era tutto finito. La musica era sfumata. Le mie mani avevano lasciato le tue. Eravamo di nuovo due lontane isole nel grigio mare della loro esistenza.
L’unica cosa che restava della magia di quei pochi minuti, era la luna. Lei era ancora lì. Troneggiava nel mezzo della pista di pattinaggio dei giardini comunali, illuminando la serata di una delicata luce fredda. Lei era lì, solitaria e ingombrante testimonianza della potenza e della grandezza del mio amore. Sarebbe rimasta lì ancora qualche giorno, ad attrarre con forza travolgente i nostri pensieri, indietro a quella stessa sera, nei momenti meno opportuni delle nostre solite giornate, delle nostre solite vite.
Avevo finalmente avuto i miei dieci minuti. Avevo finalmente quel tassello che mancava per finire il puzzle della nostra storia. Dio, quanto l’ho aspettato questo momento. Quante volte ho pensato a come sarebbe stato. Quante notti ho passato pregando di avere i miei dieci minuti. E ora che erano trascorsi, mi sentivo contemporaneamente completo e vuoto. Era una strana sensazione, ma quella sera non sarebbe stata l’ultima.
Avevi detto di volermi parlare no? È grazie a questo che sono riuscito finalmente ad avere i miei dieci minuti. Io avevo avuto quello che desideravo, ora era il tuo turno.
Non sapevo che cosa volessi dirmi. Sono stato bravo a non farti dire niente prima. Volevo avere i miei dieci minuti, sì, ma volevo anche che, qualsiasi cosa fosse quella che volessi dirmi, tu me la dicessi di persona. Ti ho ceduto il centro del palco: era il momento del tuo spettacolo. E devo riconoscere che anche tu hai fatto proprio un bel numero.
Mi hai detto un sacco di cose che non mi aspettavo mi dicessi. Un sacco di cose su di me e su di te. Un sacco di cose che non pensavo mi avresti detto, ma purtroppo, anche un sacco di cose che sapevo già. Da molto tempo, oltretutto.
Hai iniziato dicendo che avevo ragione io. Questa detta da te è proprio una rarità. Avevo ragione io. Su tutto, tra l’altro. E hai proseguito con un’altra bomba. Non solo avevo ragione io, ma avevi sbagliato tutto tu.
Avevo ragione io sulla casa, avevo ragione io sul matrimonio, avevo ragione io sui figli. Avevo ragione io su di noi, a pensare che avessi agito d’impulso, frettolosamente, senza riflettere abbastanza su quello che stavi facendo. Avevo ragione io a credere che niente era perduto e che tutto poteva essere riparato. Tu sei stata superba a pensare di avere, come al solito, la verità in tasca. E nella certezza della tua infallibilità, affrettata nel gettare la nostra storia, e anche me, nella spazzatura, esattamente come avresti fatto con qualsiasi camicia o maglione o cellulare che non fosse più stato in perfette condizioni o di cui, semplicemente ti eri stufata.
In una situazione normale, forse queste sarebbero state belle frasi da sentirsi dire. In una situazione normale, mi sarei sentito bene nel sapere che avevo ragione io e che avevi sbagliato tu. Ed in realtà era proprio così che pensavo mi sarei sentito, se mai fosse successo che la tua inflessibile superbia e il tuo fiero orgoglio avessero lasciato passare qualche messaggio per me che non riguardasse solo le questioni completamente ininfluenti che rimanevano pendenti tra di noi. Ero addirittura arrivato a pensare di poter godere della tua sofferenza, di poter provare soddisfazione nello scoprire, finalmente, che la vita da sogno che hai costruito in fretta e furia raccogliendo un po’ tutto quello che ti capitava a portata di mano, non era la favola che avevi creduto inizialmente. Pensavo che la rabbia mi avrebbe potuto permettere di raggiungere questo livello di sadico cinismo, che avrebbe infuso di veleno la mia lingua, che mi avrebbe reso capace di infierire colpendo le tue ferite scoperte.
In questo, ho sbagliato io. La verità è che, pur sapendo esattamente cosa avrei dovuto dire per farti crollare in lacrime davanti a me, pur sapendo come avrei dovuto fare per trasformare le tua paure in terrificanti certezze e pur sapendo come spezzarti esattamente come tu avevi fatto con me, non l’ho fatto.
La verità è che nel sentirti ammettere i tuoi sbagli, nel sentirti riconoscere i tuoi errori, ho intravisto, senza che tu me ne parlassi, qualche angolo della vita che vivi. La verità è che vederti soffrire non mi ha regalato appagamento, non ho avuto soddisfazione nel vedere che tutto il male che mi avevi fatto ti si era ritorto contro. La verità è che ero triste per te.
La verità è che quando mi hai ucciso per poter vivere una vita migliore, ti ho aiutato a pulire il mio sangue dalle tue mani. La verità è che ti ho amata così tanto, che mentre sprofondavo all’inferno, speravo che tu fossi felice. Se le tue azioni, fossero servite a farti essere felice, tutto il mio dolore non sarebbe stato vano. Io avrei dovuto soffrire per mesi, dannandomi alla ricerca di spiegazioni, cercando di riempire gli abissali vuoti che avevi lasciato dentro di me e di ricostruire una vita che valesse la pena vivere; ma se contemporaneamente, nel causare tutto questo tu avessi costruito la vita dei tuoi sogni, allora tutta la mia sofferenza sarebbe almeno servita a qualcosa.
E invece, proprio come temevo, tu non eri felice. Non avevi realizzato la vita dei tuoi sogni. Questo non me l’hai detto, ovviamente, ma non avevo bisogno di sentirtelo dire, sapendo che quel martedì di fine Novembre, avevi deciso di venire a parlare con me, di raccontarmi come avessi riflettuto sull’accaduto, e di come fossi diventata una persona migliore, continuando a pensare a me per tutto questo tempo.
Mi hai detto di aver imparato a pensare prima di parlare, e a cercare di prevedere le conseguenze delle tue azioni prima di metterle in pratica. Hai capito la bellezza dei miei regali, che non erano mai casuali o comuni, ma sempre scelti e pensati appositamente per te, da me. Regali che solo io in tutto il mondo avrei potuto farti, regali che in tutto il mondo solo a te avrei potuto fare. Unici, anche se mai esattamente quello che volevi tu, perché non puoi volere qualcosa che neanche pensi possa esistere. Hai capito come ti saresti dovuta comportare nelle situazioni non facili che abbiamo vissuto insieme. Hai capito quante futili discussioni ci saremmo potuti risparmiare se solo ogni tanto mi avessi dato retta. Hai capito un sacco di cose, che io ho cercato di spiegarti e di cui ho cercato di convincerti, ma tutte maledettamente troppo tardi.
E adesso?
Bella domanda, la tua. Chissà che cosa ti aspettavi che rispondessi. Hai sempre preteso molto da me e io mi sono sempre fatto in quattro per cercare di non deluderti, sacrificandomi troppo, troppo spesso. Questa volta non sarebbe andata così, però. Non per ripicca, o per vendetta. Non sono così stupido. Purtroppo però io nella tua situazione non c’entravo niente. Purtroppo i tuoi problemi non dipendevano da me. Purtroppo, più di tutti gli altri “purtroppo”, i tuoi problemi non erano più i miei problemi, da ormai parecchio tempo. Come in quella canzone di Celentano che a me piace molto (mentre invece a te no), ma senza schiaffo, ti ho rimandata da colui con il quale mi avevi sostituito, nella vita che stavamo costruendo insieme.
Non sarei stato io a risolvere i tuoi problemi. Non ti avrei offerto il porto sicuro delle mie braccia come rifugio dalle acque inquiete della tua vita. Non era giusto dirti che avremmo potuto riprovarci per darti la forza di affrontare i tuoi problemi. Non era giusto dirti che non c’era più nessun futuro per noi, per darti i motivi di cui avevi bisogno per tentare di salvare la tua storia. Questa era una guerra che avresti dovuto combattere da sola, o ignorare per qualche altro mese guardando altrove, sperando che si risolvesse da sola.
Tu avevi distrutto tutto, tu dovevi trovare il coraggio di cui avevi bisogno per uscire da quella situazione. Se e quando fossi tornata da me libera, senza alcun vincolo, padrona della tua vita e sicura delle tue scelte, avresti potuto avere la risposta alla domanda che non avevi avuto la forza di chiedermi per intero.
L’unica cosa che ho potuto dirti, è stata che ho sempre e solo voluto che tu fossi felice e che questa cosa non era mai cambiata. Ti ho esortata ad essere felice, confidando che in fondo tu sapessi come fare.
Con il cuore imbevuto di malinconia, ci siamo salutati come due sconosciuti, senza sapere se ci saremmo più rivisti o sentiti.
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