La scorsa settimana c’è stato il primo venerdì del 2018. Non il primo in senso stretto, ma il primo “standard”.
Non è stato affatto piacevole.
I venerdì “standard” sono la maggior parte dei venerdì dell’anno, quelli in cui non è festa, o in cui non si va da qualche parte. Quelli in cui, in poche parole, non succede niente di particolare.
I venerdì “standard” iniziano con un più o meno lento risveglio, una più o meno lenta colazione, con il raccogliere armi e bagagli e caricarli in macchina, per andare a lavorare. I venerdì “standard” poi proseguono come le normali giornate lavorative, forse con un pizzico in più di voglia di combinare poco, visto che è venerdì e si fa il conto alla rovescia per il weekend. Poi nei venerdì “standard” si finisce di lavorare, si salta in macchina e si torna a casa. In questi 40 minuti di tragitto circa, nei venerdì “standard”, chiamo mio nonno e cerco di rastrellare tra i fatti della settimana almeno dieci minuti di parole da poter spendere con questo quasi novantenne che vive la sua vita nelle quattro mura di una casa vuota, guardando un po’ di televisione a volume ultrasonico, facendo le parole crociate, leggendo qualche rivista o scrivendo qualche pensiero su un quaderno dalla copertina anonima e un po’ sgualcita.
In questi 10 minuti cerco di portargli una ventata di “fuori”, un riassunto di quello che succede nel mondo, ma non del genere di informazioni che passano al telegiornale, ma più del genere che penso possa interessare ad un nonno che può permettersi il lusso di vedere il suo unico e sgangherato nipote per un’ora ogni settimana, salvo imprevisti.
A volte è difficile trovare dieci minuti di parole, perché non è detto che in una settimana “standard” succedano così tante cose degne di nota. A volte le settimane “standard” sono così uguali tra loro che diventano noiose, e non ripetersi è difficile. A lui non importava, complice un po’ la memoria che iniziava a scarseggiare, e la felicità di sentirmi, avrebbe ascoltato qualunque cosa, anche senza capirla, perché il volume del telefono non sempre consentiva alla mia voce di arrivare forte e chiara.
In certi momenti rimpiango le settimane “standard”, quelle dove la cosa più lunga da dire per descriverle era proprio “va tutto bene”, che sembra una gran banalità ma sono tre parole impareggiabili da mettere in fila, quando corrispondono alla verità. Ma al momento di dover telefonare al mio nonno, nelle settimane “standard”, ero sempre un po’ di malumore, perché sapevo che avrei dovuto cercare affannosamente tra le briciole più piccole per trovare qualcosa di cui parlare, per farlo svagare un po’.
I venerdì “standard” poi proseguono con una rapida capatina a casa di mia madre, e una cena di lunghezza variabile a casa di mio padre. A volte esco pure, ma sempre più di rado.
Questo appena trascorso è stato il primo venerdì “standard” del 2018, ma io me ne sono reso conto solo dopo le sette, quando una volta salito in macchina per tornare a casa, mentre istintivamente stavo per chiamare mio nonno, mi sono ricordato che non avrei più dovuto farlo. Ho fatto il viaggio da solo, in silenzio, senza radio. Il nuovo standard non prevede più la telefonata per raccontare a mio nonno i fatti salienti della settimana. Per la prima volta da quando tutto questo gran casino che è stato il mese di Dicembre è finito, ho sentito chiara e inequivocabile la sua mancanza.
Non sarà affatto piacevole abituarsi al nuovo standard.
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