I miei nonni hanno sempre parlato della sera di San Silvestro come della “notte di anno vecchio”. E quest’anno questo nome mi sembra quanto mai calzante. Questa è l’ultima notte del vecchio anno, carica come mai prima d’ora di speranze per il futuro. Futuro che inizierà domani esattamente come i giorni che sono iniziati negli ultimi mesi, ma con l’ottimismo di chi spera che il futuro riservi sorprese positive.
Negli ultimi anni non ho scritto il mio consueto sproloquio con il bilancio annuale, perché fondamentalmente avevo di meglio da fare che starmi a dannare l’anima pensando a tutto quello che era o non era andato per il verso giusto nei dodici mesi passati. Negli ultimi anni avevo un lingotto d’oro enorme da custodire ed a cui badare. Negli ultimi anni, nonostante tutti i problemi, nonostante gli imprevisti e le battute d’arresto, avevo la felicità.
Ce l’avevo io, ce l’avevo tutta, se non la trovavate era colpa mia e non me ne vergogno affatto. Avevo un lavoro come non se ne trovano, indipendenza economica, amici che meritano delle statue, un instabile ma comunque sufficiente equilibrio nel rapporto con i miei genitori, piani per il futuro, una ragazza che amavo e che mi amava, suoceri invidiabili. Ero il re del mondo, avevo tutto quello che avessi mai desiderato, avevo tutto quello che si potesse desiderare e non avevo paura del domani. Io e la mia lei avevamo deciso di andare a convivere e, nonostante non fosse una decisione semplice, di rimettere a nuovo l’appartamento dei suoi nonni. Non mi preoccupava dover sgobbare per i lavori di ristrutturazione in casa, non mi pesava dover comprare migliaia di euro di mobilio, non mi spaventava dover fare cose che non avevo mai fatto. Ero invincibile, e nel modo giusto, come avevo sempre sognato di essere, non come Tubba Blubba.
Quest’anno mi ha portato fino a toccare con mano quel sogno, mi ha portato a scegliere l’arredamento per casa, la cucina, il pavimento, il bagno, gli elettrodomestici, il letto, il materasso… Ho persino fatto i lavori che potevo fare in casa, come smontare la cucina ed il vecchio armadio, staccare la carta da parati, aiutare a rimettere a nuovo le finestre, portare su e giù i pacchi di mattonelle nuove e i secchi di quelle vecchie, passare i tubi per l’impianto di condizionamento, montare il pavimento. Quest’anno avrei potuto finalmente realizzare due sogni insieme: andare a vivere con la donna che amavo e trovare, dopo 4 (o forse 10) anni, un nuovo posto da chiamare “casa”. Finalmente avrei saputo a cosa pensare quando parlavo di casa, avrei saputo dove tornare per trovare riposo e per trovare calore e felicità. Stavamo costruendo il nostro nido, il nostro porto sicuro, il nostro futuro. E quello non era solo un posto da chiamare “casa”, ma “Casa Babò” per la precisione.
In quella che ricorderò come la settimana in cui tutto avvenne, tutti i progetti e le certezze sono crollati, disintegrati in una nube di polvere grigia e nera che annebbiava la vista e rendeva impossibile ogni minima previsione del futuro. E quello non fu l’unico evento della settimana, non persi la mia donna, la fiducia nei suoi confronti, tutto quello che avevamo costruito insieme e tutto quello che avevamo pianificato per il futuro. Lo stesso giorno, sono iniziati problemi a lavoro di cui si è visto un minimo miglioramento solo nel mese di Dicembre, senza che se ne vedesse comunque la fine. È iniziata la malattia e conseguente convalescenza di mio Nonno, che ha portato alla sua scomparsa di questi ultimi giorni.
Non dimenticherò facilmente questo annus horribilis, non dimenticherò quella infausta settimana di agosto in cui tutto avvenne, ed in cui si avviò lo sfacelo che mi ha accompagnato per il resto dei mesi del 2017. Non dimenticherò il dolore che mi ha inflitto lei a cui avevo affidato la custodia del mio cuore, lei che trovava riparo e conforto nel mio abbraccio, la donna che amavo e di cui più di chiunque altro al mondo mi fidavo nella maniera più completa e totale. Non dimenticherò tutta la devastazione che ho portato dentro in questi mesi, insieme al vuoto dell’anima che mi riempie i polmoni di sospiri e gli occhi di lacrime nei momenti in cui resto solo con me stesso a pensare a quello che è stato e a quello che sarà. Non dimenticherò le parole affilate come spade che ha usato per trafiggermi, quando ero ormai già in ginocchio e senza le forze di rialzarmi. Non dimenticherò la disumanità con cui sono stato rimpiazzato in quella che era la nostra vita, e che nel giro di una settimana scarsa è diventata la vita di qualcun altro. Non dimenticherò la sensazione di completa disfatta, nel guardare le palme di queste mani grandi che non sapevano come fare a tenerla con me, né dimenticherò la profonda speranza di chi si attacca ad una improbabile e flebile idea nel tentativo vano di frenare questa frana e di impedire la completa demolizione della nostra storia. Non dimenticherò le innumerevoli notti insonni e le troppe sere vuote, in cui nel silenzio della mia camera mi sono rannicchiato su me stesso preda del freddo dell’inverno e di quello dell’anima.
Non dimenticherò gli occhi di mio nonno, pieni di stupore, di rabbia e di dolore, guardare i miei mentre io cercavo di distogliere l’attenzione dagli squarci che mi sentivo nel petto, fallendo nel tentativo di nascondere i miei sentimenti alla persona che mi ha mostrato cosa significa essere un uomo sensibile. Non dimenticherò la sua sofferenza, nel perdere la sua indipendenza, nell’essere costretto a vivere in casa, assistito da un estraneo e senza più possibilità di muoversi liberamente. Non dimenticherò neanche lo sguardo di mio padre, che mi ha insegnato invece ad essere calmo e, spero, giusto, costretto a rivivere il suo divorzio una seconda volta nella mia storia. Non dimenticherò neanche chi c’è stato mentre crollavo su me stesso, senza più la minima speranza in corpo di poter risollevare la situazione, abbandonato senza forze al destino. Non dimenticherò gli sguardi e le mani di chi cercava di non farmi cedere, chi provava come poteva e senza speranza di successo di tenere insieme una statua di sabbia che si stava sgretolando.
Non dimenticherò la fatica di andare a lavoro, mentre la testa si rifiutava di collaborare, e le mani di scrivere. Non dimenticherò la fatica di alzarmi ogni giorno dal letto o di mangiare, sapendo che qualunque cosa io potessi fare non avrebbe migliorato il mio stato d’animo di un solo briciolo e che tutto era ugualmente inutile e ininfluente. Non dimenticherò i quotidiani pianti lungo il tragitto tra casa e l’ufficio. Non dimenticherò le lacrime vigliacche sul lavoro, o nelle sere con gli amici.
Non dimenticherò lei, né tutto quello che è successo negli anni precedenti e di cui non ho scritto, perché era tutto così bello, e perché l’avevo desiderato da così tanto tempo, che volevo godermelo ogni secondo.
Non dimenticherò niente di tutto quello che è successo, perché a differenza sua io non dimentico niente, e questa è da sempre la mia condanna e l’unico pezzo di me che non si è mai perso.
Spero che nel 2018 possa arrivare il momento in cui mi sentirò di nuovo il capitano al timone della mia vita, invece di un naufrago in balìa della più feroce tra le tempeste. Spero di ritrovare presto la serenità, perché so già che per la felicità ci sarà molto da aspettare. Spero di riuscire a completare la lenta opera di ricerca di me stesso che proseguo da qualche mese senza successo, spero di arrivare un giorno a rimettere l’ultimo tassello di me al suo posto e di potermi ritrovare, sentire di nuovo incompleto e sbagliato, ma vivo.
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