Questo è uno di quei post lunghi, noiosi, melensi, deprimenti, induttori di suicidio, ed altre cose terribili. Nessuno di voi è obbligato a leggerlo, ma a quanto pare io non posso fare a meno di scriverlo.
Qualche tempo fa, mentre mi trovavo in una dimensione parallela in cui, effettivamente, potevo dire di uscire con una ragazza, questa stessa persona mi ha fatto una domanda, forse un po’ ingenua, ma di cui mi va di parlare ora.
Mi è già capitato di descrivere, diversi anni fa, in queste stesse pagine il mio comportamento, non dissimile a quello di molta altra gente, di (cercare di) apparire una persona più o meno diversa da quella che sono.
E, un lunedì sera di qualche tempo fa, mi è stato chiesto perchè lo faccio.
Non ricordo con esattezza la risposta che ho dato in tale situazione, ma dopo una parte iniziale, ricordo di aver spiegato il perchè, più o meno in questo modo, usando la metafora dell’invincibile Tubba Blubba.
L’invincibile Tubba Blubba è un personaggio che mi è rimasto molto impresso, quando ho giocato a Paper Mario, ai tempi del mai troppo compianto Nintendo64. Ci sono un sacco di posti dove potete andare a leggere la sua storia in dettaglio, ma quello che ricordo io, e che adesso vi racconterò, è più che sufficiente per capire il resto di queste mie chiacchiere. Fatemi solo un favore, mi dispiace una volta tanto per i miei amici anglofoni, ma pronunciate il nome così com’è scritto. Io l’ho sempre fatto, e mi sembrerebbe di parlare di qualcos’altro, a sentire il suo nome in un altro accento. Comunque, tornando alla storia, ricordo di essermi lanciato nella lotta contro questo grosso boss, senza troppi problemi.
Insomma, ero convinto che la parola “invincibile” facesse parte del nome di Tubba Blubba, un po’ come “incredibile” fa parte del nome di Hulk. Ebbene, mi sbagliavo: Tubba Blubba è veramente invincibile, e nessun tipo di attacco, inclusi i più potenti disponibili in quel momento nel gioco, è in grado di scalfirlo minimamente.
Il segreto di Tubba Blubba, scoperto dopo essere scampato alla morte fuggendo dalla battaglia, risiede nel fatto che (spoiler!) lui non ha il cuore. O meglio, certo che ce l’ha, ma non ce l’ha con sé. Il cuore dell’invincibile Tubba Blubba si trova all’interno di un mulino, sotto chiave, al riparo da qualunque cosa possa ferirlo o arrecargli dolore, ed ecco come fa ad essere invincibile. Dopo aver scoperto questo segreto, è semplice avere la meglio sull’invincibile Tubba Blubba, basta fare in modo che torni ad avere il suo cuore, ed il terribile mostro sarà sconfitto nel giro di uno o due attacchi.
Ebbene, ecco la spiegazione del perchè è più semplice fingere di essere diversi da quello che si è. Se si fa in modo che il proprio cuore sia al sicuro, da qualche parte che conosciamo solo noi, niente e nessuno ci può fermare, niente e nessuno ci può fare del male.
Il mio cuore è stato lontano da me per qualche anno ormai, e durante questo tempo la vita è trascorsa più o meno come fa sempre… Più o meno come faceva prima, più o meno come ha sempre fatto. Non è bello essere l’invincibile Tubba Blubba, è un personaggio scomodo, a prima vista non è il massimo: sembra cattivo, insensibile, persino crudele, ma niente può fermarlo, e qualunque cosa gli succeda, lui può proseguire sulla sua strada. Non è una strada facile, né felice, ma questo fa parte delle regole del gioco.
In effetti, essendo stato invincibile anch’io non si può precisamente dire che la mia vita sia stata felice negli ultimi anni, ma ben poche persone hanno il coraggio di dire di essere felici, quindi non fa molta differenza.
Poi è successo qualcosa, qualcosa che ha cambiato molte altre cose. Ho avuto modo di stringere i rapporti con una persona di mia conoscenza, una bella ragazza con cui ho scoperto di avere delle cose in comune. O forse con cui ho sognato di averle, è difficile da dire adesso. Fatto sta che, in un lasso di tempo durato diversi mesi, questa persona è entrata a far parte della mia vita di tutti i giorni, e dei miei pensieri, ed infine, convinto dalla sua dolcezza, e dal fatto di aver visto in lei un cuore come quello che tenevo lontano da me, ho deciso di rischiare. Ho deciso di andare a riprendere il mio cuore.
È un’esperienza incredibile quella di riunirsi con il proprio cuore: sembra che improvvisamente il mondo cambi direzione e smetta di essere un posto così brutto, sembra di entrare in possesso di una energia nuova, si prova una grande voglia di fare, ci si sente al pieno delle proprie forze e sembra di poter affrontare qualsiasi cosa. E, finché dura, è veramente così.
Per la prima volta in non so dire neanche io quanti anni, quando qualcuno mi chiedeva come stavo, conoscevo la risposta.
Stavo bene.
Com’è facile intuire, non è durato a lungo: è successo qualcosa. Ora so cosa, e credevo che saperlo mi avrebbe aiutato, in qualche modo, ma in realtà non è andata così. Le spiegazioni che ho sono più rispetto a qualche settimana fa, e si incastrano con quello che è successo dopo, ma continuano a non incastrarsi con quello che è successo prima. E questo mi impedisce di arrendermi al fatto che la cosa sia finita così.
Sapete qual è l’altra controindicazione dell’avere un cuore? Che quando viene ferito fa talmente male che c’è il serio rischio di impazzire.
Le spiegazioni che ho non spiegano tutto, e questo è un brutto problema, perchè purtroppo sono una persona che deve capire. E non è detto che se venissi a conoscenza del tassello che mi manca, allora potrei chiudere questa storia e riprendere la mia vita in pace. Potrebbe farmi ancora più male quello che non conosco, rispetto a quello che so, ma questo non mi impedisce di volerlo sapere.
Io devo sapere.
E c’è una sola persona che, forse, può aiutarmi a capire.
E sono settimane che non ci sentiamo. Chissà se per lei è stato facile? Beh, per me no, non lo è stato affatto.
Mi sono ripromesso di non cercarla fino a quando non avessi almeno finito di scrivere un capitolo della tesi. Mi sono autoimposto questo vincolo perchè ho sacrificato tutto me stesso per potermi laureare in tempo, e non posso permettermi di abbandonare adesso. L’ho fatto anche perchè sapevo che ci sarebbe voluto qualche giorno per finire un capitolo della tesi, cosa che avrebbe potuto aiutare le acque a calmarsi, e le idee a chiarirsi. E ho sopportato tante cose nella vita, chi mi conosce lo sa bene, ma non me ne ricordo una che mi sia costata più fatica del rispettare questo strano vincolo, deciso proprio da me.
Ho passato giorni alla solita scrivania, nel disperato tentativo di raccogliere tutta la concentrazione rimasta, per poter scrivere qualcosa che avesse almeno un senso. Mi sono dovuto sforzare talmente tanto per farlo, che se me l’avessero raccontato non ci avrei creduto. Le cose andavano vanno più o meno così.
Dopo un tempo (difficile da quantificare), necessario solo per mettere in riga i neuroni ed autoconvincermi che fosse ora di combinare qualcosa, iniziavo a scrivere qualche frase un po’ sgraziata. Poi, come un lampo, un qualche pensiero mi attraversava la testa. Ed in quel preciso momento, iniziava la tortura. Mi aggrappavo con tutto me stesso al presente ed al dovere, rappresentato dalla mia scrivania, mentre una forza inarrestabile mi trascinava lontano, per poter parlare ancora con lei, per poter capire e per poter, in un modo che non sapevo e ancora non so, aggiustare le cose. E più questa forza mi trascinava via, più cercavo di reggermi alla scrivania, al mio compito, arrivando a sentire la carne separarsi dalle ossa, millimetro per millimetro, ed atomo per atomo, decisa ad andare a fare ciò che avrei voluto fare più di ogni altra cosa.
Il supplizio terminava quando ormai non potevo più essere definito un uomo, ma uno scheletro, con le falangi affondate nel legno e l’anima persa chissà dove. Allora la forza misteriosa cedeva, la mia persona si ricomponeva, e lentamente riemergevo da questa mia sorta di trance e tornavo ad essere più o meno io, esausto per la lotta contro me stesso, e rassegnato a scrivere qualche altra parola, in attesa del round successivo.
Ecco, questo è più o meno quanto è stato difficile per me stare qui al mio posto, con nel petto la forza di spostare le montagne e le orbite dei pianeti, forza in grado di fendere lo spaziotempo e di portarmi da lei e fare qualunque cosa potesse servire, forza che io ho cercato in ogni modo di trattenere, e di impiegare per mantenere i miei atomi tutti al loro posto, per non disintegrarmi. Forza che, guidata dal pensiero di lei, mi ha di fatto impedito di studiare, impedito di mangiare, impedito di dormire, impedito di scrivere ed impedito di leggere. E se avessi provato a fare qualcos’altro, probabilmente mi avrebbe impedito di fare anche quello.
Scrivo tutto questo oggi, perchè sono ad un misero paragrafo di distanza dal punto che conclude il secondo capitolo della tesi e che mi lega al contratto con me stesso. Il che significa che domani sarò libero di usare tutta questa forza che mi sento dentro (e che dovevo in minima parte sfogare su queste righe) per provare a fare qualcosa. Cosa voglio fare? Parlare. Voglio parlare, e soprattutto capire. E voglio farlo guardandola negli occhi, e voglio che lei guardi i miei, gli stessi occhi che non ha avuto il coraggio di fissare mentre mi nascondeva la verità.
Se il mio cuore è ancora capace di qualche numero di magia, spero mi possa aiutare a capire quello che lei mi dirà, ammesso che mi dica qualcosa, e che mi indichi se c’è anche qualcosa che non mi ha ancora detto, visto che prossimamente potrebbe, o non potrebbe, essere l’ultimo giorno della verità.
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