I miei nonni hanno sempre parlato della sera di San Silvestro come della “notte di anno vecchio”. E quest’anno questo nome mi sembra quanto mai calzante. Questa è l’ultima notte del vecchio anno, carica come mai prima d’ora di speranze per il futuro. Futuro che inizierà domani esattamente come i giorni che sono iniziati negli ultimi mesi, ma con l’ottimismo di chi spera che il futuro riservi sorprese positive.
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Anno: 2017
Quest’anno mi sentivo proprio di scrivere un altro articolo brutto sul Natale.
Non ho un grande rapporto con gli specchi. Non è una novità e non è un segreto. Tutti quelli che mi conoscono lo sanno perché gliel’ho detto o perché si sono fatti delle domande vedendo come vado in giro vestito. La verità è che no, non mi guardo spesso allo specchio. Non mi interessa che cosa pensano gli altri a riguardo dei miei vestiti o di come li ho (o meglio, non li ho) “abbinati”, anche perché non so farlo, mi resta parecchio difficile e mi porta via una quantità di tempo imbarazzante, per cui evito direttamente di provarci.
Ho talmente poco rapporto con gli specchi che in camera non ne ho uno, e in tutta casa non credo ce ne sia uno dove specchiarmi per intero. No, generalmente non mi guardo allo specchio, ma ogni tanto lo faccio anche io.
In tempi recenti mi sono reso conto di come tutti i traguardi che ho raggiunto e che ad amici e parenti sono sembrati “straordinari” e che a me invece non apparivano affatto fuori dal normale, dipendessero da una cosa che io avevo e che altri invece non avevano.
Non lo dico per vantarmi, perché non si è trattato di qualcosa che io abbia ottenuto con fatica e che quindi mi sia meritato, è stato davvero un colpo di fortuna che io l’abbia avuta, e mi dispiace, veramente, per chi invece non ce l’aveva. Non è una cosa che uno ha in maniera innata, la incontra durante la vita, chi prima e chi dopo, e come succede per tutte le cose che uno dovrebbe incontrare durante la vita, qualcuno non la incontrerà neanche mai. E questo mi dispiace, perché come tutte le cose che uno può incontrare o meno durante la vita, e che sarebbe bene che tutti incontrassero, è profondamente ingiusto che il poter incontrare questa cosa o meno sia in mano ai dadi, alle carte, al destino, o a come volete chiamare Dio.
E mi dispiace per un secondo motivo: perché per anni mi sono battuto per combattere un pensiero abbastanza comune, che professava la presenza di qualcosa di speciale nelle mie azioni, qualcosa di soprannaturale, di raro, per cui quello che potevo fare era magicamente più facile da fare per me piuttosto che per gli altri. L’ho combattuto perché è una spiegazione troppo di comodo che i miei amici potevano usare quando non riuscivano a fare qualcosa, perché nessuno di loro aveva niente in meno rispetto a me, perché sapevo che anche loro avrebbero potuto fare quello che facevo io e perché volevo che lo facessero anche loro. Alla fine mi sono dovuto arrendere al fatto di avere torto: sì, avevo qualcosa che gli altri non avevano. E in barba a tutta la meritocrazia che ho sempre cercato nella scuola come nell’università e nel lavoro, non avevo neanche fatto niente di speciale per meritarmelo: avevo solo avuto la fortuna di inciamparci sopra, un giorno molte vite fa.
Ho paura.
È un sacco di tempo che non torno qua. Sono diversi giorni che vorrei tornarci, ma ho paura. Ho paura di quello che troverò. Ho paura di come reagirò.
Ho paura.
Non sono mai stato una persona coraggiosa, al contrario. Credo che la paura abbia una grande importanza nel tenerci lontani dai guai.
Ho rispetto della paura, ma sono settimane che sento di aver bisogno di tornare in questo luogo di riflessioni. Ho paura di ciò che succederà, come l’ho avuta negli ultimi giorni, ma questa sera non ho nessuna scusa davvero buona per stare alla larga da qui.
Dirigersi, soli, in silenzio, lontano. Dove, non fa differenza, l’importante è che sia veramente lontano. Lontano da tutti, lontano da ogni forma di vita, lontano dagli amici, dai parenti, dai rompicoglioni, dai passanti. Lontano.
In mezzo ad un campo, o tra i sentieri tutti uguali di un bosco sconosciuto, dentro gli scavi di un cantiere deserto, o sulla cima di un monte, da cui poter guardare con distacco il resto del mondo, perché in quel momento il resto del mondo non conta niente.
Immergersi nei pensieri, soli, seguire il filo di ogni ragionamento, raggiungere il nodo in cui si intreccia col prossimo e ripartire da capo. E così, ancora e ancora, sapendo che non c’è via di fuga da quel labirinto di pensieri, consapevoli che la soluzione non può trovarsi in nessuno di quegli intrecci, su nessuno di quei fili, e quasi certamente neanche nell’insieme di quella confusione di nodi. Ricominciare da capo, raggiungere la stessa conclusione, e provarci lo stesso ancora, fino allo sfinimento.
Raggiungere lo sfinimento.
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